L’ora di educazione fisica

Come ogni martedì alle 10, accolsi la seconda A per l’ora di educazione fisica. Iniziai il riscaldamento, chiedendo ai bambini di fare dieci giri di corsa. Era la prima classe a entrare nella palestra poiché la terza B, che avrebbe dovuto occupare l’ora precedente, era in gita allo zoo.
I bambini, esaltati, iniziarono ad inseguirsi, spingersi, fare a gara a chi arrivava prima. L’aria fresca e intonsa del luogo, iniziò a riempirsi di schiamazzi, risa e odore di cipolla soffritta. Tutto come da copione. Tranne per un dettaglio: Stefano, un bambino di solito parecchio giocoso e dinamico, restava ultimo della fila e fissava un punto imprecisato del soffitto.
Terminato il riscaldamento, li divisi in due squadre, scelsi due capitani per tirare a testa o croce e lanciai loro il pallone di gommapiuma per giocare a palla-avvelenata. Le grida, le corse, le finte cadute ripresero ancor più forte e tutte la classe sembrava divertirsi. Tranne Stefano.
Lo presi da parte e gli chiesi se stesse bene: <<Sì.>>
<<Hai mal di pancia?>>
<<No.>>
La preoccupazione si fece largo fra i miei pensieri: <<Cosa c’è che non va, Stefano? Perché non giochi con i tuoi amici?>>
<<Maestra, c’è una bambina aggrappata lassù>>, mi rispose indicando una trave sul soffitto. Guardai attentamente e, nonostante fossi sicura di aver messo le lenti a contatto, non vidi niente. O, per meglio dire, nessuno.
<<Tesoro, sei sicuro che ci sia una bambina?>>
<<Sì. Guarda, sta proprio lì. Lo vedi che è bionda, che ha una gonna rosa, che ci guarda?>>
<<No, tesoro, non vedo ma se si è arrampicata lassù è molto pericoloso. Appena finite di giocare, la vado a prendere, va bene? Sei più tranquillo, ora?>>
Stefano, convinto dal mio proposito, raggiunse la sua squadra e, come al suo solito, fece “secchi” quattro avversari. Il bimbo aveva ripreso il suo comportamento normale anche se continuava a guardare in su.
L’ora di ginnastica per la seconda A si concluse, i bimbi tornarono alle loro occupazioni e altre classi si susseguirono nel corso della giornata senza altri incidenti.
Alle quattro del pomeriggio, suonò la campanella d’uscita. Accompagnai l’ultima classe della giornata verso il portone. Era fine novembre: il freddo era diventato pungente e gli alunni, schiacciati dal peso degli zaini e dei cappotti, correvano felici verso le loro mamme e merende. Aspettai che tutti i bambini fossero stati recuperati dai genitori, chiacchierando con qualche collega. Alcuni tornarono dentro la scuola per prendere o sistemare le ultime cose.
Anche io dovevo finire di raccogliere gli attrezzi che avevo seminato ovunque per far fare dei percorsi ginnici alla quinta C. Presi il corridoio che si apriva a sinistra della porta d’ingresso e poi la diramazione a destra. Mentre mi avvicinavo alla palestra, sentii un “toc-toc-toc” ritmico.
“Chi salta ancora con la corda? Tutti i bambini sono usciti, in teoria. O forse ce n’è scappato uno? Forse è quella piccola peste di Raffaele, fa sempre di testa sua. Oggi non ha avuto l’ora di ginnastica, capace che è intrufolato in palestra per vendetta. Una bella nota sul diario questa volta non gliela toglie nessuno!”
Arrabbiata, abbassai la maniglia della porta: <<Raffaele, questa volta l’hai fatta pro…>>
Una bambina bionda con la gonna rosa, terrorizzata, lasciò cadere la corda e scomparse nel buio.